Mese: Novembre 2022

Mostra Fotografica a Vittoria con i beneficiari di IRIDE

Vittoria – Ci sono anche alcuni beneficiari di Iride nella mostra fotografica “Déjà -vu” che ha aperto i battenti il 19 Novembre alla Corte del Vespro di Vittoria. Un viaggio sui dodici mali del terzo millennio e  un’unica strada da percorrere insieme, tra volti e sguardi del mondo contemporaneo. Gli scatti delle donne di Iride ritraggono il tema della deforestazione, l’attuale guerra in Ucraina e il tema dell’immigrazione.

Mostra fotografica “Dejà vu” alla Corte del Vespro: il progetto di Toni Campo, Francesco Palazzolo, Florin Moric

Il racconto: INFOMIGRANTS visita il nostro SAI di Caltagirone

Il sistema italiano di protezione per richiedenti asilo e rifugiati è costituito da una vasta rete di diversi centri e programmi di accoglienza. InfoMigrants ha visitato un piccolo centro gestito dalla cooperativa Iride a Caltagirone, in Sicilia.

The Italian protection system for asylum seekers and refugees is made up of a large network of different accommodation centers and programs. InfoMigrants visited one small center run by the Iride cooperative in Caltagirone, Sicily.

C’è un’atmosfera calda e amichevole nel centro di accoglienza gestito dalla cooperativa Iride a Caltagirone, nonostante gli edifici siano un po’ periferici.

Quando InfoMigrants visita il centro di accoglienza, alla fine di settembre, il sole di fine estate penetra dalle finestre nei corridoi. Poco più di un mese dopo, Halloween è appena trascorso e nelle foto di alcune delle persone incontrate da InfoMigrants, così come i membri del personale, scorgiamo volti felici, sorridenti: sono le immagini pubblicate sulla pagina Facebook della cooperativa “IRIDE” che gestisce da diversi anni il progetto. Iride è la cooperativa sociale che gestisce diversi centri di accoglienza in tutta la Sicilia, tra cui questo, oltre ad attività per anziani, disabili e bambini. Ci sono 25 posti letto al centro di Caltagirone: sette residenti sono stati inviati dalla Svezia come ‘casi di Dublino’ in Italia, altri sette sono giovani bengalesi che hanno appena compiuto 18 anni e sperano di ottenere i passaporti dall’ambasciata del Bangladesh. Poi ci sono alcuni residenti provenienti per lo più dal Nord Africa.

Secondo il coordinatore di Iride, responsabile dell’Alfabetizzazione e dell’insegnamento dell’ italiano L2, Micol Liardo, il team ha lavorato duramente per assicurarsi che gli ospiti di questo centro si sentano a casa e possano accedere ai programmi offerti loro come richiedenti asilo dallo stato italiano.

Il SAI di Caltagirone fa parte di quello che oggi viene chiamato il sistema SAI (Sistema di Accoglienza ed Integrazione – Reception and Integration system) creato dalla legislazione emanata nel 2020, ma che, in sostanza, ha preso il posto di un sistema del 2018 chiamato SIPROIMI, che a sua volta è nato dal sistema SPRAR. Tutte le varie incarnazioni del sistema di accoglienza miravano a fornire servizi di accoglienza e integrazione per richiedenti asilo e rifugiati. Ma gradualmente, si è spostato dall’essere un sistema pubblico gestito dal governo nazionale a quello gestito da una rete di comuni, cooperative sociali ed onlus.

Micol Liardo e la direttrice del centro di Caltagirone, Maria Grazia Geraci, sottolineano quanto sia importante per coloro che abitano il centro, avere una fitta programmazione di attività varie in modo da distrarre i beneficiari dal lento processo di attesa per sapere se è stato concesso loro asilo o meno, e se possono finalmente soggiornare regolarmente in Italia.

Fekir, 23 anni, tunisino, è in piedi sorridente nel corridoio. È pronto per uscire in città con i suoi amici. “Sono in Italia da due anni e in questo centro da dieci mesi. Sto aspettando che la mia richiesta di asilo e il relativo permesso di soggiorno per poter lavorare vengano elaborati”, spiega Fekir. Prima di arrivare in Sicilia, dice di aver cercato lavoro a Milano, ma era difficile trovarne uno senza permesso di soggiorno. “Sono arrivato qui in barca, è stato davvero difficile”, dice del suo viaggio dalla Tunisia. “C’erano altre 28 persone a bordo dell’imbarcazione e siamo stati in mare per quasi 24 ore. Le onde non erano troppo alte per fortuna.”
Fekir ammette che la vita in Italia per giovani tunisini come lui può essere difficile. “Ho avuto problemi in Tunisia e sono dovuto fuggire. Ho paura di tornare in Tunisia”, dice in un italiano rotto. Per mettere in regola i suoi documenti, deve aspettare in Sicilia mentre prosegue il processo burocratico per regolarizzare la sua posizione. “Voglio solo lavorare e avere una casa qui a Caltagirone. Ottenere un permesso di soggiorno è il mio sogno, un lavoro, ovviamente ciò che occorre per essere felici”, sorride Fekir scrollando le spalle prima di andare a fare un giro con altri amici per la città.
Fekir, dice Liardo, è una delle tante persone al centro che ha un’offerta di lavoro, e sarebbe felice di lavorare, ma non gli è permesso di fare granchè fin quando i suoi documenti non arriveranno.  Nel frattempo, cerca di imparare la lingua italiana attraverso le lezioni di alfabetizzazione garantite dalla struttura e partecipa ad alcune delle attività offerte nel centro.

Profumi invitanti in cucina
Mentre saliamo le scale fino al primo piano, un gruppo di giovani migranti del Bangladesh, che hanno appena compiuto 18 anni e sono stati trasferiti qui da alloggi speciali per minori non accompagnati, si riuniscono in salotto per guardare insieme la TV. Altri giovani tagliano le verdure e preparano deliziosi piatti di cibo, riempiendo la cucina e il corridoio con odori caldi e piccanti. Alcuni uomini, come Idris Hassan, un curdo iracheno arrivato in estate in Italia dopo essere arrivato in aereo dalla Svezia, sono nelle loro stanze a chiacchierare quando arriviamo, ma presto ci raggiungono per condividere le loro storie.

“Dico sempre che ci sono tre fasi di questo processo di migrazione – sostiene ancora Micol Liardo, docente di L2 nel centro di Caltagirone – Lo sbarco, che è la prima esperienza per la maggior parte dei migranti e richiedenti asilo quando arrivano in Italia. L’accoglienza, rappresentata da noi che siamo la seconda tappa del viaggio, e poi l’integrazione: i beneficiari devono imparare a interagire con il resto della società italiana, cioè il terzo stadio, il mondo esterno”, dice Liardo.

Per rendere questo processo più agevole, insiste Liardo, “cerchiamo di offrire il maggior numero possibile di servizi e progetti per aiutare le persone a sentirsi incluse nella nostra società. Istruzione, formazione e lavoro sono tra le cose  più importanti per le persone che arrivano al nostro centro. Quando un richiedente asilo arriva fa un primo colloquio conoscitivo con lo psicologo, e poi cerchiamo di assicurarci che impari l’italiano il prima possibile. Se non si comunicano i propri bisogni in una società  non si otterrà mai nulla da nessuna parte.”

Istruzione e formazione
La docente Liardo e il team della struttura accompagnano sempre i migranti in Questura, (il quartier generale della polizia) “perché hanno bisogno di essere assistiti su come compilare i moduli, come chiedere informazioni di cui potrebbero aver bisogno negli uffici comunali. Questo è l’obiettivo del progetto SAI”, dice.

Dopo aver raggiunto un livello italiano di base, continua Liardo, i beneficiari del progetto SAI devono assicurarsi di aver raggiunto la “Terza media” a scuola attraverso l’iscrizione al CPIA (Centro provinciale istruzione adulti). Ciò equivale a studiare a scuola fino a 14 anni. “Senza il certificato che attesti la conoscenza linguistica dei beneficiari, molti dei programmi di formazione offerti all’interno del sistema SAI non sono accessibili”.

La cooperativa Iride cerca di offrire il maggior numero di attività possibile ai beneficiari. La programmazione è finalizzata ad assicurarsi che  i beneficiari ottengano documenti validi e per evitare che vengano sfruttati, dice Liardo, pienamente consapevole del sistema di caporalato che esiste e persiste in molte regioni italiane, anche in Sicilia.

“Ma il sistema non funziona”, sospira Liardo, nonostante i suoi sforzi e quelli della cooperativa. “Abbiamo ragazzi con enormi talenti e potenzialità e conosciamo datori di lavoro che vogliono offrire un vero contratto ma ciò è difficilissimo perché la procedura per ottenere il permesso di soggiorno è molto lunga, spesso perché la Questura non fissa in tempi celeri un appuntamento. Anche se ottengono un primo incontro, devono poi aspettarne un secondo, quello con la commissione territoriale che esaminerà ogni caso, decidendo se la  domanda di asilo può proseguire o meno.” Il processo richiede tempo. “Una volta che la commissione ha deciso, dice Liardo, se la decisione è negativa, un potenziale richiedente asilo può fare appello facendo ricorso al Tribunale competente, rinnovando nell’attesa il permesso di soggiorno ogni sei mesi. In quel momento, si può in teoria convertire il  documento in un permesso di lavoro se  qualcuno dei beneficiari verrà assunto attraverso un contratto. È un processo semplice e se funzionasse sarebbe grandioso. Ma non lo fa!”

Liardo dice che il sistema, apparentemente semplice, diventa nel tempo ancora più complicato perché i richiedenti asilo e i migranti provenienti da diversi paesi percorrono strade diverse. Per esempio, dice, i giovani tunisini fanno parte di una lista, insieme ad altri 16 paesi, che sono considerati “sicuri” e le loro domande di soggiorno in Italia sono “fast-track”. Il cosiddetto ‘fast-track’ significa che i migranti dovrebbero andare molto più velocemente in commissione. Tuttavia, in pratica, le cose non sarebbero così semplici. “Abbiamo alcuni giovani tunisini che sono qui dal dicembre dello scorso anno”, dice Liardo. “È un sistema che non funziona e dobbiamo raccogliere le frustrazioni di tutti questi ragazzi. Vengono da noi ogni giorno e ci chiedono ‘c’è qualche aggiornamento?’

“Ciò ha un enorme effetto psicologico sulle persone e gestire tutto questo, è faticoso, sia per loro che noi”, dice Liardo.

‘Dobbiamo assicurarci che il giorno sia strutturato’
“La cosa principale è tenerli occupati”, spiega Maria Grazia Geraci. “Dobbiamo assicurarci che la loro giornata sia strutturata. Aspettano per mesi, non possono lavorare, non sanno cosa riserva il loro futuro, quindi è importantissimo tenerli impegnati.

Una volta esauriti tutti i ricorsi in Tribunale, spiega Liardo, la gente viene espulsa e i beneficiari devono lasciare il progetto entro due o tre giorni “devono solo fare le valigie e andare.” A questo punto, gli ex beneficiari non vengono effettivamente rimpatriati, in parte a causa dei costi, in parte a causa del fatto che l’Italia potrebbe non avere un accordo con il loro paese, e così queste persone cadono nel crescente numero di migranti ‘invisibili’ che non sono registrati e quindi soggetti a sfruttamento. “Sono contro le irregolarità. Credo che nessuno debba rimanere senza documenti. Dobbiamo assicurarci che tutti siano registrati”, dice Liardo. Ma la realtà è ben altra.

Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il sistema è stato esposto, ancor più di quanto non lo fosse prima. Tutti gli altri profughi in fuga dalla guerra, dice Liardo, dalla Siria, dall’Afghanistan o dallo Yemen, devono affrontare l’intero tortuoso processo per ottenere la protezione internazionale. Ma se si proviene dall’Ucraina, “andiamo direttamente in Questura e ritiriamo i loro permessi di soggiorno”.

Ci vorrebbe un sistema di accesso univoco in Italia ma nei fatti non c’è. “Io sono per l’uguaglianza, se stai scappando da una guerra,  allora che differenza fa che colore è la mia pelle, o da dove vengo? La solidarietà data agli ucraini mi ha lasciato perplessa. Ho lavorato nel settore dell’immigrazione per tanto tempo e non ho mai visto una simile accoglienza  ad altre persone che sono anche in fuga da situazioni difficili presenti in tutto il mondo. “Non ci sono rifugiati di prima e seconda classe”, aggiunge Geraci. “Questo rende difficile  anche il nostro lavoro perchè tutti notano la differenza e ciò rende il sistema ancor più difficile da amministrare. È difficile da gestire perchè c’è bisogno di uguaglianza per tutti.”

Alcuni dei nostri richiedenti asilo hanno addirittura le udienze nel 2023 e 2024, dice Liardo, “e il nostro progetto non tiene conto di qualcuno che rimane nei nostri centri per così tanto tempo. Dobbiamo cercare di rendere alcuni beneficiari indipendenti in ogni modo, ma quando ci imbattiamo in questi blocchi amministrativi, è difficile continuare a offrire il supporto che il nostro progetto normalmente sarebbe in grado di offrire. Quindi andiamo avanti cercando di fare il meglio per tutti, ma all’interno di un sistema rotto.”

Ma Liardo non ha perso la speranza. Sorride e la sua voce si rallegra quando conclude: “Recentemente abbiamo festeggiato con un giovane che è stato qui con noi per cinque anni. Gli restano sei mesi nel progetto e proprio questa mattina abbiamo parlato di tutte le cose da fare per aiutarlo, in modo che possa andarsene con dignità, con un contratto di affitto e un lavoro e tutto ciò di cui avrà bisogno per iniziare la sua vita. Sono questi i momenti che ti fanno andare avanti, nonostante tutta la frustrazione di un sistema poco efficiente.”

Leggi l’articolo – Sito Web: https://www.infomigrants.net/en/post/44476/the-system-is-broken-inside-an-italian-reception-center-in-sicily

IRIDE su Repubblica – Video: “La Sicilia accoglie i profughi respinti dalla Svezia e costretti a fuggire”

Profughi respinti dalla Svezia trovano oggi rifugio in Italia. È quello che sta accadendo in diversi centri di accoglienza della Sicilia dove stanno crescendo le richieste da parte delle prefetture per collocare rifugiati perlopiù siriani, palestinesi, afghani e iracheni in fuga dai paesi scandinavi. “Ne ho incontrati una cinquantina, tutti con storie molto simili, nonostante abbiano un lavoro regolare la Svezia non gli riconosce l’asilo politico e decidono di venire in Italia”, racconta Abdelilah Mounsabi, mediatore culturale della cooperativa Iride di Catania. Ayad, iracheno, 41 anni, è arrivato nel centro Sai di Licodia Eubea tra Caltagirone e Ragusa lo scorso maggio. In Iraq faceva il regista televisivo e il giornalista d’inchiesta. Nel 2015 raggiunge la Svezia dai Balcani, ottiene un lavoro regolare, ma la sua richiesta d’asilo viene respinta: “Era il 2017, vengo licenziato e non posso più accedere ai servizi sanitari e sociali, nel frattempo in tutta la Svezia cresce la tensione nei confronti della comunità islamica”.

Nella primavera del 2022, in occasione della campagna elettorale, gruppi di estrema destra scandinavi guidati dal danese Rasmus Paludan, iniziano a bruciare copie del Corano in piazza, ci sono scontri con feriti in diverse cittadine svedesi. Alcuni attivisti musulmani creano il movimento “Stop kidnapping our children” dove denunciano che i servizi sociali svedesi porterebbero via i figli dei profughi mediorientali che non hanno diritto a stare nel Paese. Per i media e le autorità svedesi si tratta di fake news, eppure è questo uno dei motivi che hanno spinto Ayad a lasciare la Svezia: “Avevamo paura che ci togliessero i bambini”, racconta Ayad che a settembre viene così raggiunto in Sicilia dalla moglie allora al quinto mese di gravidanza arrivata dalla Svezia con la figlia di un anno e mezzo.

Nel centro di Caltagirone incontriamo invece Rasho, 19 anni: “Vengo da Tal Afar, città in mano all’Isis, io non mi sono arruolato con loro, ma ho deciso di scappare. Dopo sette anni di lavoro in Svezia hanno rifiutato la mia richiesta d’asilo e per timore di essere rimpatriato sono arrivato in Italia. C’ero anche io in piazza quando hanno bruciato il Corano”, racconta, mentre le operatrici dei centri per migranti della Sicilia annotano storie di flussi migratori che cambiano, provenienti non soltanto dall’Africa, ma oggi anche dall’Europa.

 

Sito Web : https://palermo.repubblica.it/cronaca/2022/11/04/news/sicilia_migranti_svezia_fuga-372921775/?__vfz=medium%3Dsharebar

 

IRIDE è una cooperativa sociale che si propone l’obiettivo di “perseguire l’interesse generale della collettività alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini” attraverso la gestione ed erogazione di servizi.

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